I campeggi «reggono» ma calano le presenze. Calano anche negli stabilimenti balneari e l’impressione è che la stessa cosa succeda negli alberghi. Sono le prime impressioni dell’estate a stagione appena finita. I dati ufficiali sul turismo, come detto, ancora non ci sono, ma c’è chi ha già un quadro piuttosto preciso di come è andata.
Ce l’ha ad esempio Michele Montemagni, presidente regionale Assocamping Confesercenti, secondo cui i «campeggi hanno retto anche se c’è stato un calo leggero in tutta la Regione, inclusa la zona della Partaccia».
Le cause, dice, «sono diverse: all’inizio della stagione le condizioni climatiche non sono state favorevoli e questo ha inciso sulle presenze. Il campeggio, più di altri settori come quello balneare, risente di questi fattori, e il calo non è stato compensato». Inoltre, aggiunge, «si nota un cambiamento nel modo di fare vacanza. Non si tratta solo di una questione economica: le tariffe, a parte piccoli adeguamenti dovuti all’aumento dei costi delle materie prime e dei contratti nazionali, sono rimaste pressoché invariate. Il vero cambiamento è nelle abitudini: prima le vacanze erano più lunghe, anche di un mese, con l’obiettivo di recuperare energie, curare il benessere psicofisico, staccare dalla routine. Oggi prevalgono vacanze brevi, “mordi e fuggi”, ripetute magari più volte in luoghi diversi. È la cosiddetta “vacanza del selfie”: si arriva, si scatta la foto e si riparte, senza un reale ritorno in termini di relax. Questo fenomeno si riflette anche in montagna, dove si vedono picchi di presenze con persone spesso impreparate ad affrontare i percorsi».
Secondo Montemagni «il turismo non può essere lasciato al caso: dovrebbe essere gestito meglio dalle Regioni. Negli ultimi anni c’è stato un atteggiamento sbagliato: si sono inseguite solo le presenze numeriche, ma il turismo deve essere non solo quantitativo, anche qualificante per i territori e per chi li vive. I visitatori devono trovare un contesto adeguato, legato al nostro stile di vita e alla nostra identità. Invece, nelle grandi città si assiste a una standardizzazione: locali e offerte turistiche tutte uguali, veloci, intercambiabili, come quelle che si trovano in qualunque capitale europea. Ma se un turista viene da New York e qui trova le stesse cose che trova a casa, perde senso la scelta della destinazione».
C’è poi un aspetto legato ai costi: «Spesso si legge che i prezzi sono alti, ma se un’azienda assume personale in regola e rispetta le normative non può scendere sotto una certa soglia. Garantire servizi di qualità comporta spese, ma è l’unico modo per offrire ai turisti un’esperienza adeguata al 2025. Non possiamo più proporre uno standard fermo agli anni ’50».
Stralcio da https://www.iltirreno.it/